Via Montenapoleone Pittura Impronte Milano – In una metropoli solo in pochi vivono, tutti gli altri sopravvivono. Immaginate poi a New York, dove negli ingorghi dell’indifferenza umana, il cuore e la mente viaggiano tra una fermata e l’altra della metropolitana. Quest’agglomerato di caos però ha un’anima. Da scomporre. E da riscrivere con un altro linguaggio. Non quello del distacco alienante che contraddistingue uomini chiusi nel paltò, ragazzi assordati dalla musica di una cuffietta e donne abbracciate soltanto alla propria borsetta. E in questa distesa di sabbia, che nasconde il tesoro dello spirito multiforme, c’è qualcuno che vuole scavare, trivellare l’involucro di quest’epoca in cui ci siamo rinchiusi, trovare l’acqua che nutre quell’anima e la risveglia dal torpore. Sgretolando pian piano le apparenze ecco che si può toccare con mano la verità. Magari proprio attraverso i piedi, in contrasto con la più usuale automazione che ci porta a tendere le braccia, protenderle in avanti e frugare con le dita tra le cose della vita. Nel primo caso è più facile mantenere il controllo, non perdere l’equilibrio, graffiare e poi ritrarre il gesto, afferrare e poi mollare, appigliarsi e cercare di non cadere. Con i piedi invece no. Con i piedi invece puoi trasferire energia nella direzione che vuoi, puoi marciare, saltellare, piroettare o semplicemente passeggiare, ma senza bluffare. In una parola, ti puoi rivelare. O meglio, svelare. Questo è il senso di “Imprints”: tendere l’orecchio e ascoltare in silenzio quello che la gente ha da raccontare attraverso il corpo, partendo dall’espressione estetica e formale, ma andando al di là di essa. Ecco che allora salteranno fuori inconciliabili identità di una stessa persona, o magari, identiche emozioni di un popolo intero; e nello stesso tempo, la cultura underground, le ferite della storia, la dignità di un quartiere, le voci di un dolore. L’isola semantica di libertà e verità si ergerà da questa terra brulla. E verrà poi incorniciata per diventare opera ed essere finalmente mostrata. E solo chi utilizza come strumento l’amore e la creatività, la profondità e il suo alfabeto, può diventarne il tramite. L’interprete. Questo è l’artista. Questo è Claudio Arezzo di Trifiletti: colui che sa raccontare una storia tutta da inventare. (Assia La Rosa) / DOMENICA 04 FEBBRAIO 007 GIORNALE DI SICILIA – PAG.34 “ La mia Arte per la Pace”.