Non bisognava dargli alcun minimo contributo, doveva perdere le speranze, esasperarsi, reagire e il gioco era fatto, il compimento di quel disegno ostile era realizzato. La vittima era consapevole di quello che intorno era tramato, e facendo tesoro di coloro che aveva incontrato, si concedeva ristoro continuando a fare per come era dedito marciare. Mattone su mattone, trarre dalla sconvenienza l’opportunità, in cuor suo sapeva di essere grato alla forza che il Signore gli aveva donato, continuava a creare nonostante le voci lo volessero diseredare. Sembrava non sentire alcuna provocazione, restava impassibile come sconoscesse l’intenzione, leggeva disperazione in coloro che non riuscivano accettare vocazione. Non era attratto dalle ricchezze, gli insegnamenti erano collegamenti, raggiungere l’obbiettivo, condividere lo rendeva vivo. La natura e l’essere umano gli erano fedeli, nell’avventura scorgeva quanta meraviglia si celasse agli occhi ignari dei privilegiati, cercavano emergere al cospetto dei disadattati. La notte pensava ai tanti ricordi e si affliggeva per come la storia si era fatta tersa e priva di accordi. Non si capiva come potesse restare dentro quella gabbia, reggere quella situazione così maldestra e fuori ogni funzione, ma il bagaglio era proprio lì, il valore di farcela, una promessa per quei sogni che a volte lo riportavano a messa. (Scritto Contemporaneo)
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La mia essenza
Sono deluso della mia gente, sono inasprito nella mia mente, non è che non ricordo più niente, è solo che godo raramente. Godo del sole e delle stelle, godo dell’amore e delle sue sorelle. Non desidero dare caramelle, desidero dare tono al frastuono, dare orecchio al sentirmi quasi vecchio. Le speranze sono gioie posdatate. Le medaglie sono cucchiaini leggeri. L’acqua è il sangue della vita. L’aria è l’odore della vita. La luce è il vestito della vita. Questo è quello che conosco, eppure sembro un tipo losco, è vero mi corico dentro un bosco, le foglie sono i miei pensieri, adoro fare parte del mio bosco, contaminarmi della terra, innaffiare le mie fiabe, sono belle, sono salve, lotto per allevarle, sono come le farfalle, delicate, corrono per lo spazio, volano nello strazio, pesano sopra il mio braccio.
Chiedono perdono per i fischi e il frastuono. Sono in cerca di una posta, che mi dia la risposta, che i miei occhi possano sentirla, che il mio cuore possa leggerla, che il mio essere possa afferrarla e mai abbandonarla, che sia continua domanda, per sfamarmi dalla mia ansia. Ansia di fermarmi all’apparenza, ansia di non ricordare la mia assenza, ansia di perdere la mia essenza.