Un gesto d’Amore.
In ogni epoca è importante restituire la luce che riceviamo
Testi di Marella Di Grande
La Sicilia isola feconda, ma depredata nella storia da ondate di incursori e ad oggi bistrattata finanche dagli stessi siciliani, ha bisogno di amore e la richiesta della nostra terra appare evidente attraverso gli scatti fotografici di Claudio Arezzo di Trifiletti: i decori degli edifici, i fregi e le sculture di monumenti, chiese e fontane stratificatisi nei secoli si muovono coordinati in un anelito di amore. Il progetto “Sicily needs love” è un tour della Sicilia con soste nelle principali città per immortalare, in scatti fotografici, i particolari delle opere che spesso rimangono celati agli occhi ignari degli stessi siciliani intorpiditi dal grigiore dell’ignoranza o dalla pericolosa indifferenza e nutriti dalla frenesia della quotidiana mediocrità. I video mostrano le città risvegliarsi nei gesti scherzosi dei puttini, nei visi mostruosi e negli sguardi stravolti dei decori barocchi, giocherellare con le sculture mitologiche delle fontane e amalgamarsi alle linee architettoniche a volte contorte altre essenziali delle chiese. Le immagini sono volte a creare un documentario artistico o a comporre in sequenze veloci un corto subliminale, ma tutte concluse da un ultimo frame di Madonne estatiche che infondono speranza a quei passanti che abbiano la fortuna di posare lo sguardo su di loro.
“Ci sono sofferenze che scavano nelle persone come buchi di un flauto e la voce dello spirito ne esce melodiosa” (Vitaliano Brancati)
Dietro la corazza austera del basalto delle chiese e delle vie, Catania cela un cuore appassionato, così come la pietra fredda e nera si arroventa al sole di Sicilia, lo spirito del popolo catanese si infiamma nel credo radicato e obbedisce con eclettismo, tipicamente siculo, agli umori della montagna traendone con esuberanza forza e genialità. La natura lega inscindibilmente con formula alchemica la terra ed il fuoco all’aria e all’acqua che echeggiano storie lontane di miti e leggende popolari.
“Sai cos’è la nostra vita? La tua e la mia? Un sogno fatto in Sicilia. Forse stiamo ancora lì e stiamo sognando” ( Leonardo Sciascia)
Che Taormina sia il gioiello della Sicilia lo si intuisce dal nome vezzoso e dal nobile aspetto dato essenzialmente dal paesaggio circostante dell’Etna che declina sino al mare turchese. La città è unica nell’ intreccio di preziosi elementi, architettonici, urbanistici conseguenza dei precedenti domini. Il Teatro Greco, le Naumachie romane, Il Castello Saraceno, la Necropoli araba ,il Palazzo gotico dei Duchi di Santo Stefano, la normanna Porta del Tocco , gli aragonesi Palazzo Corvaja e Palazzo Ciampoli fino al barocco delle Quattro Fontane, degli edifici di Corso Umberto e della Chiesa di San Giuseppe sono alcuni esempi delle varie epoche storiche che si sono susseguite accrescendo lo splendore di Taormina.
“La Sicilia è il paese delle arance, del suolo fiorito la cui aria in primavera è tutto un profumo..ma quel che ne fa una terra necessaria a vedersi e unica al mondo , è il fatto che da un estremità all’altra , essa si può definire uno strano e divino museo di architettura” (Guy de Maupassant)
“La Sicilia non è una: ne esistono molteplici, forse infinite, che al continentale, forse al Siciliano stesso, si offrono e poi si nascondono in un giuoco di specchi.” (Leonardo Sciascia)
Nella città tra terra e acqua, mito, storia e archeologia sono magicamente fusi e si respirano dalla sorgente Aretusa alla fontana di Artemide, sino ai resti del tempio di Apollo. Siracusa reca il passaggio di diverse dominazioni storiche senza disegno di continuità, ma in un insieme che risulta armonico. I Greci, i Romani, i Bizantini, gli Arabi, i Normanni, gli Svevi, gli Aragonesi, i Catalani, i Vicerè, i Savoia hanno impresso orme uniche e visibili nel Duomo, in origine sontuoso tempio dorico di Athena trasformato in chiesa cristiana bizantina, poi normanna e ancora barocca, e negli edifici delle strette stradine dell’isola di Ortigia dove il tempo sembra essersi fermato.
“Un teatro era il paese, un proscenio di pietre rosa, una festa di mirabilia. E come odorava di gelsomini sul far della sera. Non finirei mai di parlarne, di ritornare a specchiarmi in un così tenero miraggio” (Gesualdo Bufalino)
Il paesaggio irreale di Modica le conferisce l’aspetto di un presepe in cui le case, spesso estensioni di grotte tipiche, sono accatastate le une alle altre e i campanili sono protesi verso l’orologio della torretta del Castello, parte più alta della città. Le molteplici chiese in stile barocco fiorito, caratterizzate da un gusto imponente ma raffinato, si affacciano su scenografiche scalinate modellate sulle chine delle colline.
“Nella città alta di terrazzi e di chiese del Seicento, aerea di visioni esatte dei paesi e dei mari, della scienza e dell’arte…” (Salvatore Quasimodo)
«Bisogna essere intelligenti per venire a Ibla, una certa qualità d’animo, il gusto per i tufi silenziosi e ardenti, i vicoli ciechi, le giravolte inutili, le persiane sigillate su uno sguardo nero che spia.» (Gesualdo Bufalino)
Ragusa Ibla arrampicata com’è su se stessa non è facile da percepire in toto, si può apprezzarla risalendo i viottoli e soffermandosi sui piccoli particolari per rendersi conto che anche un sassolino vibra. Città mistica ed insieme drammatica nelle masse in movimento, nelle sculture e nei chiaroscuri che creano luci ed ombre in un incrocio emotivo e suggestivo. Città aristocratica e simbolica nella lotta perenne del bene contro il male dove San Giorgio sconfigge il drago.
Noto chiede amore perché amore offre accogliendoti al passaggio dalla Porta Reale simboleggiante la forza, la fedeltà e la benevolenza verso il prossimo e incantandoti con l’oro della pietra con cui, dopo il terremoto del 1693, l’intera città fu ricostruita. Le forme dinamiche e complesse delle chiese, di cui il cuore della città è ricco, e le maestose scalinate esprimono in maniera solenne l’animo devoto reperibile anche nelle nicchie sacre delle stradine secondarie dedicate soprattutto al culto di San Corrado, eremita e patrono della città. Gli stemmi e gli ornamenti architettonici degli edifici nobiliari, i leoni, i grifoni, i cavalli alati, i putti allegorici e le sirene dei balconi di Palazzo Nicolaci raccontano una eleganza fiabesca propria del barocco siciliano.
“Trescano ai piedi tuoi silfi e sirene;
Fremon dentro di te sofi e giganti;
E tu tranquillo di vermiglie arene
E di colti e di boschi ampio t’ammanti” (“All’Etna” Mario Rapisardi)
Chi vive ai piedi dell’Etna ha di essa una paura mista a benevolenza, una sottospecie di rispetto, simile a quella di un domatore che apprezzando la bellezza della bestia feroce ne riconosce la pericolosità. Le sue falde da Barriera o da Gravina fino in alto a Fleri o a Zafferana sono un tutt’uno col popolo catanese che si lascia influenzare dagli sbalzi d’umore “da muntagna”: quando è arrabbiata fremono, quando è calma si quietano come nelle mattine chiare di gennaio quando candida sembra che ti sorrida. Nella fotografia di Claudio, la pietra lavica lavorata nei ghirigori barocchi seppur grossolani ben esprimono il carattere rupestre e schietto della gente che vive alle pendici dell’Etna e nella sequenza delle immagini si percepisce la forza ancestrale del vulcano che trascina come magnete al centro della Terra.
Militello is healing me, here you can breathe well, people you meet look at you, smiles, everything is in harmony, it will be because of the mountains, the water, the ground, the air is truly clean. In Militello you can meet living fountains, Churches made of stone on stone that smell like jasmine, the roads go slow, in everyday life the chaos remains outside, you can smell the bread, it is good, it is peace. In Militello everything is more human, harmony is breathed among the people, you can see, good humor is met in everyone. I want to take the global soul of Militello. A lady meets me, and looking at me with her heart, she whispers to me ” God protect you”, words of always that the great center, the great metropolis, sometimes ignores. In Militello nobody touches anything, the water keeps going down, everything is quiet. In Militello there is no need to wear the watch, there are the bells to intone the time, every quarter of an hour tells his story. In order to tell a story, it is necessary to live among the inhabitants, be part of it, a day is not enough, a sunrise and a sunset, must live among the inhabitants, it would require a still image to understand what is hidden in the depths.
Militello mi sta curando, si respira bene, la gente che incontri ti guarda, ti sorride, tutto è in armonia, sarà per le montagne, l’acqua, la terra, l’aria è davvero pulita. A Militello incontri fontane vive, chiese di pietra su pietra che profumano di gelsomino, le strade sono lente, nel quotidiano il caos ne resta fuori, si sente l’odore del pane, è buono, è pace. A Militello è tutto più umano, l’armonia tra le persone si respira, si vede, il buon umore lo incontri in tutti. Desidero prendere l’anima globale di Militello. Una signora mi incontra e guardandomi con il cuore sussurra”Che Dio ti protegga”, parole di sempre che il grande centro, la grande metropoli a volte ignora. A Militello nessuno tocca niente, l’acqua continua a scendere, tutto è tranquillo. A Militello non c’è bisogno indossare l’orologio, ci sono le campane a intonare il tempo, ogni quarto d’ora racconta la sua storia. Se si vuol raccontare una storia bisogna vivere tra gli abitanti, farne parte, non basta un giorno, un alba e un tramonto, necessiterebbe di un fermo immagine per osservare ciò che si cela nel profondo.